Elisabetta Bruno, CEO e Founder di Heritage e Pietro Tosco, Digital Content Manager
Heritage è un'azienda che rappresenta perfettamente il concetto di Cultura 4.0. La vostra vision è molto chiara: il patrimonio culturale come esperienza da vivere. Un progetto ambizioso e all'avanguardia in un ambito in continuo divenire. Cosa vi ha spinto a scommettere sulla rivoluzione digitale della Cultura?
Il cambiamento di approccio “culturale” delle persone alla realtà che ha portato la rivoluzione digitale, implicando una trasformazione delle forme e delle manifestazioni della conoscenza.
Non possiamo più presentare il patrimonio culturale come se fossimo nel XX secolo. L’era digitale ha cambiato come percepiamo e come conosciamo: ad esempio, il museo tradizionale ci annoia. Secondo noi la tecnologia può permettere un accesso al patrimonio culturale più interessante e completo. Ma oltre alla capacità di innovazione ci vuole sensibilità culturale, curiosità intellettuale e desiderio di comunicare: per tutto questo è nata Heritage, per il desiderio di portare la nostra esperienza al servizio di questo cambiamento.
Il lavoro di Heritage si fonda sull'enorme quantità di informazioni recuperabili dai database disponibili online. Ciò dimostra un legame diretto tra il settore della Cultura e i Big Data, di cui molto si sta parlando negli ultimi tempi in ambito tecnologico. In che modo è possibile riuscire a gestire una simile mole di dati e quale la chiave di applicazione nei Beni Culturali?
Il patrimonio culturale attualmente fruibile con tecnologie digitali e multimediali costituisce a tutti gli effetti un patrimonio cosiddetto di “Big data”. I documenti, le opere, i luoghi o i prodotti filmici e sonori, schedati, indicizzati e fruibili digitalmente sono presenti in enormi e articolate banche dati, ma perlopiù sono difficilmente fruibili, spesso sepolti e sconosciuti quasi più che i documenti o i libri fisici impolverati sugli scaffali. Eppure il web è lo strumento oggi più diffuso e utilizzato, a disposizione di tutti e apparente soluzione a ogni tipo di ricerca. Il modo migliore per gestire i dati è, secondo noi, favorire le relazioni e le aggregazioni (anche provenienti da differenti ambiti di riferimento) e, unitamente generare punti di accesso differenziati per gli utenti. Se così si può dire, bisogna creare un “nesso” tra i dati di interesse del presente e dell’attualità e i dati testimoni del passato. Per questo sviluppiamo modelli di esplorazione dei contenuti culturali, che a partire da database conformi agli standard internazionali di documentazione e archiviazione, offrano una fruizione intuitiva, partecipata e modulare agli utenti e una molteplicità di accesso ai contenuti che valorizzi l’integrazione dei dati.
Parte degli obiettivi dell'azienda è sviluppare modelli di esplorazione e fruizione mobile per i visitatori dei musei e, in generale, di contenuti culturali on line. Il tema dell'accessibilità ha un peso sempre maggiore nel dibattito riguardante la gestione sostenibile delle realtà museali. Come si inseriscono in tale ambito tecnologie e metodi quali la User Experience e la User Interface?
Per noi sono essenziali. L’accessibilità, infatti, non è solo un aspetto fisico (rendere le strutture funzionali) ma è molto di più un aspetto cognitivo. Accessibile significa “interessante”, adeguatamente “valorizzato” perché l’utente ne ha colto il valore profondo per sé. Per fare questo la “forma” con cui i contenuti sono dati e arrivano all’utente è essenziale per la sua comprensione, partecipazione e soddisfazione. Per questo lavoriamo molto su User Experience e User Interface: il nostro obiettivo è fare della fruizione museale un’esperienza integrale e personale per ciascun utente: perché fruire è partecipare. Anche la sostenibilità è strettamente connessa come tema di rilevanza essenziale. La partecipazione dell’utente all’esplorazione culturale è la premessa per generare percorsi virtuosi di coesione sociale e di sviluppo economico delle realtà locali interessate.